Sfogliando un testo di antropologia, magari di quelli francesi, ci si sofferma spesso su vecchie fotografie in bianco e nero dove ragazzini di tribu scomparse sorridono ornati con piume di uccelli esotici e i loro volti sono geografie di lontani mondi.
Il territorio, gli usi, la vita, proiettata su quel lembo di pelle, cosi impressa da diventare documento scientifico, testimonianza.
Il volto è frontiera tra il proprio interiore e l'esteriore che ci circonda; è il lascito sia di una vita individuale sia di un vissuto collettivo.
Ecco, perchè è il soggetto preferenziale della fotografia: all'enigma dell'individuo si fonde quello della società, della collettività di cui fa parte
Guardandosi allo specchio si prova questo brivido, ma ora gli specchi si sono moltiplicati cosi come
si sono moltiplicate le identità di uno stesso individuo.
Ognuno di noi passa sempre più tempo difronte ad uno specchio a scrutare la propria individualità ad espanderla.
Dallo schermo del cinema, alla televisone , al monitor del pc, al cellulare, ovunque.
I trucchi e gli ornamenti sono nuovi e incredibili le tribù si moltiplicano: dal proprio profilo in Facebook, agli emoticon, agli uomini-gatto avatar di Second Life.
Nei videogiochi poi si può essere chiunque anche simultaneamente.
Ed del vecchio volto cosa ne rimane: una superficie emozionale dove si proietta il mondo colorate delle nostre plurime identità
Nessun commento:
Posta un commento