martedì 28 aprile 2009
domenica 26 aprile 2009
BUTAVIDYA
In India 20-30 milioni di persone soffrono di malattia mentale, 9 milioni sono gravi. Ci sono meno di 40 ospedali psichiatrici per un totale di 20 mila letti, e circa 3 mila psichiatri, vale a dire approssimativamente 1 psichiatra per 3.000 persone con schizofrenia o altre psicosi, senza considerare gli altri disturbi mentali. L’estrema povertà del paese redige una lista di priorità tra le quali la malattia mentale non è inclusa. Ne consegue che chi è affetto da un disturbo mentale molto grave, come la schizofrenia o altre psicosi,
non ha possibilità di ricevere nessun tipo di cure, specialmente se vive nei villaggi, nelle zone rurali o nei sobborghi urbani: né farmaci, né riabilitazione, né aiuto alle famiglie.
DENTRO DARHAVI
Un milione d’anime racchiuse tra lamiere, fango e spazzatura nel cuore dell’India, a Mumbay.
Vivono grazie alla lavorazione della pelle e la produzione di papad, sopravvivono, nel cielo aperto d’una città apparentemente infernale.
Centouno sono i colossi imprenditoriali che gareggiano per la spartizione della torta. La loro offerta prevede la costruzione di 600 palazzi che si svilupperanno fino a 30 piani di altezza, 70 acri di verde pubblico, senza tralasciare scuole, stazioni, centri culturali e quant’altro un moderno quartiere dovrebbe offrire secondo gli attuali canoni imprenditoriali.
Quello che si preannuncia essere come uno dei più grandi piani di risanazione su scala mondiale, sembra non mancare proprio di nulla, se non della parola di chi da sempre a Dharavi ci vive.
In un microcosmo dove il prezzo migliore è contrattato tra banchi di pesce fresco alla luce di stretti vicoli, dove le porte sono sempre aperte, anche allo straniero, si ergeranno palazzi incasellati e incasellanti, negozi e centri commerciali senza più volto e personalità.
Quanto alto è il prezzo da pagare per chi sta subendo un progresso che non gli appartiene?
venerdì 24 aprile 2009
Lo specchio digitale
Sfogliando un testo di antropologia, magari di quelli francesi, ci si sofferma spesso su vecchie fotografie in bianco e nero dove ragazzini di tribu scomparse sorridono ornati con piume di uccelli esotici e i loro volti sono geografie di lontani mondi.
Il territorio, gli usi, la vita, proiettata su quel lembo di pelle, cosi impressa da diventare documento scientifico, testimonianza.
Il volto è frontiera tra il proprio interiore e l'esteriore che ci circonda; è il lascito sia di una vita individuale sia di un vissuto collettivo.
Ecco, perchè è il soggetto preferenziale della fotografia: all'enigma dell'individuo si fonde quello della società, della collettività di cui fa parte
Guardandosi allo specchio si prova questo brivido, ma ora gli specchi si sono moltiplicati cosi come
si sono moltiplicate le identità di uno stesso individuo.
Ognuno di noi passa sempre più tempo difronte ad uno specchio a scrutare la propria individualità ad espanderla.
Dallo schermo del cinema, alla televisone , al monitor del pc, al cellulare, ovunque.
I trucchi e gli ornamenti sono nuovi e incredibili le tribù si moltiplicano: dal proprio profilo in Facebook, agli emoticon, agli uomini-gatto avatar di Second Life.
Nei videogiochi poi si può essere chiunque anche simultaneamente.
Ed del vecchio volto cosa ne rimane: una superficie emozionale dove si proietta il mondo colorate delle nostre plurime identità